Carmelito e la civetta Cucuvesca

Carmelito se ne stava tranquillo, comodo comodo in giardino, adagiato sul suo cuscino preferito. Si godeva il sole sonnecchiando, ma le orecchie che si rizzavano e muovevano di qua e di la indicavano che era pronto a scattare al minimo sentore di topastri che si fossero mossi nelle vicinanze.

Ad un certo punto la sua attenzione si indirizzò verso il cielo: un uccello non meglio identificato volteggiava intorno alla sua casa emettendo dei suoni stridenti. Poi un’ombra lo sovrastò e Carmelito più stupito che allarmato si alzò dal cuscino e si mise in posizione di difesa gonfiando la coda e sfoderando gli artigli.

“Ma dai bel gattone, non avrai mica paura di un uccellino “disse l’ombra che intanto era atterrata proprio vicino a lui,  “si… proprio un uccellino, non mi pare proprio un uccello baby, anzi, chissà se è commestibile” pensò il gatto che rispose “a cosa devo l’onore della sua visita nel mio giardino signor uccello e cosa succede di tanto importante per disturbare un gatto durante il suo meritato riposo ” .

“Bene, per prima cosa io non sono un uccello qualunque, sono una civetta, regina della notte, una κουκουβάγια direbbe il mio amico Eandas, devi sapere che nell’antica Grecia, la civetta era contemplata e venerata come un animale “sacro”, tanto da divenire simbolo di Atena, dea della saggezza. Per quanto mi riguarda vengo chiamata nobile  Cucuvesca perché sono a capo del mio popolo, quello delle civette che vivono nel bosco qui accanto. Poi mi scuso se ti ho disturbato, ma sono qui perché questa notte, mentre svolazzavo come il solito a caccia di falene, sai quelle gustose farfalle notturne , tanto brutte quanto buone, ho visto una cosa, dicevo, che potrebbe interessarti” disse la civetta. “a proposito diamoci del tu, lasciamo da parte i convenevoli” continuò.

“O.K.  nobile Cucuvesca di cosa si tratta?“ rispose Carmelito che con fare sospettoso si avvicinò maggiormente alla civetta. “ ieri notte c’era la luna piena e me ne stavo su un ramo di un pino enorme per riposare quando ho sentito in lontananza dei rumori, dei miagolii  furiosi e squittii rabbiosi,  per nulla tranquillizzanti per cui ho preso il volo in quella direzione e la scena che ho visto mi ha fatto quasi sbattere contro un albero; c’erano due gatti che accerchiati da topi della razza delle pantegane cercavano di difendere tre piccoli gattini dalle grinfie di quei maledetti. Allora io ho chiamato a raccolta le mie amiche civette e insieme abbiamo fatto un tale baccano, una tale confusione scendendo in picchiata sfiorando la testa dei topi che questi impauriti e disorientati dall’attacco aereo se la stavano filando, stavano cioè per scappare quando, spuntando dalle retrovie cioè dai corpi dei  topastri assalitori che lo nascondevano alla vista , comparve un topone. Era più grosso di tutti , sporco e rognoso, con il pelo  arruffato e rossastro che gli arrivava sino agli occhi. Quando squittiva rabbioso metteva in mostra  dei denti simili a quelli di un castoro ma solo più  aguzzi, squittiva in lingua panteganesca incitando i suoi ad attaccare e a non curarsi delle civette. Si , i due gatti sfiniti e lacerati dai morsi dei topi stavano per soccombere fino a che non cominciammo ad usare artigli e becco aguzzo per colpirli,  permettendo così ai due gatti di prendere con i denti due dei gattini per la collottola e portarli in salvo nel loro rifugio in uno scantinato… ma i gattini erano tre, quindi uno era rimasto in balia dei topi. Io però non ho visto traccia del gattino, o dei suoi resti, sicuramente me ne sarei accorto se l’avessero catturato e pure i topi rimasti sul campo di battaglia  non avevano certo l’aria di aver fatto prigioniero qualcuno, se ne stavano lì sconsolati a leccarsi le ferite, anche il topone rosso , chiaramente il capo di quella banda, se ne stava rabbioso muovendosi di qua e di là  guardandosi in giro e fiutando l’aria, poi alzava la testa e ci guardava maledicendoci mentre noi volavamo in cerchio per capire come erano andate le cose. Insomma, il piccolo gattino è scomparso misteriosamente. Allora mi sono chiesta vuoi vedere che Carmelito è interessato a risolvere questo rebus? Che ne dici bellimbusto?”

“Ecco perché Eandas vi  è così amico, siete delle bravissime Civette e vi ringrazio per quanto avete fatto per salvare i gattini… certo che mi interessa la sorte dell’ultimo gattino, vieni fammi strada, andiamo sul luogo del misfatto” così dicendo Carmelito si avviò verso il bosco seguendo la civetta che si era alzata in volo per indicargli la strada.

Quando arrivarono sulla radura del bosco, teatro dello scontro, Carmelito si accorse subito che in quel posto la battaglia era stata  cruenta, infatti tra i rami spezzati erano numerose le tracce di quanto era avvenuto, ciocche di pelo di gatto spuntavano dappertutto e a terra tra l’erba  trovarono persino una coda di topo recisa da un’unghiata felina. Cucuvesca atterrò vicino a Carmelito e disse “visto che roba, meno male che siamo intervenute noi altrimenti…” “già, ma che fine avrà fatto il gattino superstite” rispose Carmelito.

I due si misero subito alla ricerca del gattino sperduto, Carmelito procedeva a zig zag col muso che sfiorava il terreno alla ricerca di tracce odorose di gattino da latte e Cucuvesca volteggiava nel cielo perlustrando con la sua vista acutissima ogni anfratto, ad un certo punto Carmelito alzò il muso al cielo gridando “l’ho trovata, l’ho trovata” “cosa hai trovato” rispose l’uccello “una traccia, sento l’odore di gattino imberbe cioè… che sa di latte materno, deve essere molto piccolo” urlò al cielo per informare la sua amica e si diresse nella direzione indicata dalla traccia olfattiva. Ad un certo punto si fermò perché l’odore era molto forte, si guardò in giro e scorse  tra i rovi di more un vaso da fiori capovolto, si avvicinò al vaso con prudenza eee vide una scheggiatura su un fianco del vaso, si avvicinò ancora di più e si accorse che la scheggiatura era in realtà un buco nel vaso seminascosto dall’erba alta. Carmelito si avvicinò sino a toccare il vaso e iniziò a bussare gentilmente con una zampa dicendo “ei c’è nessuno qui dentro?” e subito dopo emise un miagolio inconfondibile che nel linguaggio segreto dei gatti significava : sono un gatto, vieni fuori stai  tranquillo.

Carmelito aspettò un po’ anche perché Cucuvesca era appena atterrata accanto al vaso e gli fece cenno di non fiatare per non spaventare il gattino nel caso questi si fosse rifugiato dentro il vaso . Carmelito ripeté il miagolio e dopo un attimo una testolina spuntò dal buco nel vaso, era il gattino che tutto confuso e ancora spaventato dagli avvenimenti si avvicinò a Carmelito strusciando il proprio fianco contro il suo. Cucuvesca intervenne dicendo “ma che bella scenetta, che dolcezza…degna di un film… vabbè il mio compito è finito, vi saluto… ma prima di andarmene vorrei sapere chi sei caro gattino e come hai fatto a sfuggire ai topi pantegane…”rivolgendosi al gattino che rispose “mi chiamo Lulù come puoi vedere dal mio collare e sono la sorella di due altri gattini, siamo nati nella colonia dei gatti del bosco, la nostra tana è in uno scantinato, sai una baracca degli umani abbandonata, chissà che fine hanno fatto i miei fratellini e mia mamma e papà , io sono riuscita a scappare appena ho visto quel topone rosso e cattivissimo, ero terrorizzata e sono passata a tutta birra tra le gambe di mio papà e ho corso a  più non posso, senza mai voltarmi indietro sino a che ho trovato questo vaso e mi ci sono nascosta dentro…” Tranquilla disse Carmelito adesso ti accompagno dai tuoi che si sono salvati grazie all’intervento della nobile Cucuvesca e delle sua amiche civette. Cucuvesca si alzò in volo e sia Carmelito che Lulù la salutarono e ringraziarono fino a che la civetta, amica dei gatti, scomparve alla loro vista. Poi Carmelito prese delicatamente tra i denti la collottola della gattina e la consegnò ai suoi genitori e ai suoi fratellini che la festeggiarono a suon di baci e bacetti.